Presupposti alla vita sacramentale ( di p. Ioannis Romanidis)

Traduzione dal francese, del servo di Dio Raffaele Guerra
Testo dal n.21 della rivista Synaxe - La vita in Cristo, protopresbitero Ioannis Romanidis


Il sacro compito che oggi l’ortodossia deve affrontare è la riscoperta della vittoria pasquale nella vita quotidiana della Chiesa, un compito che riguarda soprattutto i giovani, spesso smarriti a causa del liberalismo delle generazioni che li hanno preceduti. La comune fede ed il culto degli Apostoli e dei Padri resta essenzialmente intatto nei nostri libri liturgici e canonici, ma nella pratica, nello spirito del clero e dei fedeli, c’è scarsa chiarezza, dovuta senza dubbio alla mancanza di comprensione spirituale della vera natura dell’opera di Cristo nella Chiesa. Di conseguenza molti che dichiarano di essere ortodossi e che sinceramente vogliono esserlo, concepiscono la vita della Chiesa secondo vaghi sentimenti personali e non secondo lo spirito degli Apostoli e dei Padri. Ciò che manca è un accoglimento vivente, che presuppone la vita sacramentale nella Chiesa. Questa mancata comprensione spiega in larga misura le debolezze della Chiesa in Occidente e, in particolare, caratterizza il suo atteggiamento di fronte a vari scismi ed eresie. Coloro che non possono intendere che: « Quel medesimo Spirito rende testimonianza allo spirito nostro, che noi siam figliuoli di Dio» (Rom. 8: 16) non possono proclamare la verità; piuttosto devono chiedersi se non siano essi stessi fuori dalla verità e, pertanto, membra morte della Chiesa.
Presupposti della vita sacramentale
In contrasto con la maggior parte delle religioni occidentali, che generalmente accettano la morte come un fenomeno normale, oppure la considerano come il risultato di una decisione legale di Dio per punire il peccatore, la tradizione patristica dell’oriente [cristiano] prende molto sul serio il fatto che la morte è intrinsecamente legata al peccato (I Cor. 15:56) e che è sotto la potestà del Demonio (Ebr. 2:14). I Padri dell’oriente [cristiano] rifiutano l’idea che Dio sia l’autore della morte, che il mondo sia “normale” nella sua condizione corrente, e che l’uomo possa vivere una vita “normale” esclusivamente seguendo le leggi naturali che governano l’universo.
La concezione ortodossa dell’universo è incompatibile con un sistema statico di leggi morali naturali. Il mondo è visto, al contrario, come un campo di azione e di lotta abitato da esseri viventi. Un Dio vivente e personale ha originato la creazione nella sua interezza. Ad ogni modo, la sua onnipresenza non esclude altre volontà stabilite da Lui stesso, e con il potere di scartare la volontà del loro Creatore. Pertanto, il Demonio non solo è capace di esistere, ma anche di aspirare alla distruzione delle opere di Dio. Lo fa tentando di attrarre la creazione verso il nulla da cui esso fu formato. La morte, che è un «ritorno al nulla» (S. Atanasio, Incarnatio Verbi, 4-5), costituisce l’essenza reale del potere demoniaco nella creazione (Rom. 8:19-22). La resurrezione di Cristo nella sua realtà concreta di carne e ossa (Luca 24:39) non solo comprova il carattere “abnorme” della morte, ma la designa anche come il vero nemico (I Cor. 15:26). Ma se la morte è un fenomeno abnorme, non può esserci niente di somigliante a una “legge morale” inerente all’universo. La Bibbia, almeno, non ne conosce (Rom. 8:19-22). D’altronde, il Signore Gesù Cristo avrebbe donato se stesso invano «per i nostri peccati, così che potessimo sradicare questo presente di peccato.»
Sin dalle origini, il destino dell’uomo è stato quello della perfezione, e oggi è lo stesso: divenire perfetti, come Dio è perfetto (Ef. 5:1, 4:13). La conquista di tale perfezione fu resa impossibile dalla venuta della morte nel mondo (Rom. 5:12), poiché «il dardo della morte è il peccato» (I Cor 15:56). Una volta sottomesso al potere della morte, l’essere umano può solo preoccuparsi dell’adeguatezza della carne (Rom. 7:14-25). Il suo istinto di autoconservazione lo satura nella vita di ogni giorno e spesso lo conduce alla disonestà verso gli altri per il suo privato obiettivo (I Tess. 4:4). Un uomo sottomesso alla paura della morte (Ebr. 2:15) non può vivere la vita d’amore del Creatore ed essere imitatore di Dio (Ef. 5:1). La morte e l’istinto di autoconservazione sono alla radice del peccato che separa l’essere umano dall’unità nell’amore, nella vita e nella verità divina. Secondo S. Cirillo d’Alessandria, la morte è il nemico che impedisce all’uomo di amare Dio e il prossimo senza affanno e preoccupazione per la propria sicurezza e per il proprio benessere. Per la paura di divenire senza valore e senza significato, l’uomo cerca di dimostrare a se stesso e agli altri che vale davvero. È quindi obbligato a far apparire se stesso, almeno da un certo punto di vista, come superiore agli altri. Ama coloro che lo adulano e odia coloro che lo insultano. Un’ingiuria influisce profondamente su un essere umano che è timoroso di diventare insignificante! Chiunque sia guardato dal mondo come un “naturale essere umano”, vive quasi sempre un’esistenza di mezze bugie e di frustrazione. Non può amare gli amici che gli trasmettono un senso di sicurezza; mentre il suo istinto di conservazione, sia morale che fisica, lo conduce a odiare i suoi nemici (Matt. 5:46-48; Luca 6:32- 36).
La morte è la fonte dell’individualismo: ha il potere di assoggettare completamente la libera volontà dell’uomo al corpo della morte (Rom. 7:18). È la morte che, riducendo il genere umano all’autoreferenzialità e all’egoismo, chiude l’essere umano alla verità. E la verità è rifiutata da molti, poiché è troppo difficile da accogliere. Il singolo essere umano preferisce sempre accettare una verità che soddisfi i suoi bisogni privati. Il genere umano cerca sicurezza e felicità piuttosto che la sofferenza di un amore che chiede il sacrificio di sé (Filip. 1:27-29). L’essere umano naturale cerca una religione sentimentalistica, fatta di sicurezza nei principi morali e facilità nelle regole che generino un senso di agio e che non richiedano sforzi per il sacrificio di sé in quanto «essendo morti con Cristo, siete sciolti dagli elementi del mondo» (Col. 2:20). Gli Apostoli e i Padri non ci hanno trasmesso una fede che si compie in “sentimenti di agio e pietà”. Piuttosto, in ogni pagina levano un grido di vittoria sulla morte e la corruzione. «O morte, ov’è il tuo dardo? O inferno, ov’è la tua vittoria?… Ma, ringraziato sia Iddio, il qual ci dà la vittoria per lo signor nostro Gesù Cristo.» (I Cor. 15: 55-57)
La vittoria di Cristo sul demonio ha distrutto il potere della morte, che separava il singolo essere umano da Dio e dal prossimo (Ef. 2:13-22). Questa vittoria sulla morte e sulla corruzione si è compiuta nella carne di Cristo (ibid. 2:15), così come fra i giusti, morti prima di Lui (I Pet. 3:19). «Cristo è risorto dai morti, calpestando la morte con la morte e a quelli nelle tombe donando la vita» (Inno Pasquale). Il Regno di Dio è già instaurato, sia di là che di qua della tomba (Ef. 2:19). Le porte dell’inferno non possono prevalere sul Corpo di Cristo (Mat. 16:18). Il potere della morte non può impadronirsi del regno della vita. Ogni giorno il Demonio e il suo regno si appressano sempre più alla loro definitiva sconfitta (I Cor. 15:26), che è assicurata nel Corpo di Cristo.

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