Apologia dei sacerdoti sposati dal vescovo latino Ulrico di Imola nel 1059

Il brano proviene dall'ammirevole lavoro di Francesco Quaranta nel suo libro "Sacerdoti Sposati nel Medioevo" nel quale l'autore illustra in modo magistrale la lotta fra uxorìa e celibato e gli influssi culturali fra Oriente e Latinità nella Chiesa Indivisa. Ringrazio di vivo cuore il professore Francesco Quaranta per il lavoro di traduzione diretto dalle fonti, il quale ci ha permesso di ottenere così ben cinque testi post-Scisma che ci confermano dell'esistenza dei sacerdoti uxorati. Dopo il Concilio di Reims nel 1049 le riforme papali si interessarono anche dei sacerdoti sposati con l'intento di distruggerli, e il Vescovo Ulrico di Imola noto anche come Odelrico o Adelrico (1053-1074) nella sua sede di San Cassiano, nel 1059, rispose così alla lettera papale che lo informava delle riforme inerenti il celibato obbligatorio imposto nella diocesi:

LETTERA A PAPA NICCOLO' II

Ulrico, vescovo solo di nome, figlio nell'amore e servo nel timore, al signore e padre,  custode insonne della santa chiesa romana.

Avendo trovato privi di senso della misura, o padre e signore, i tuoi decreti sulla continenza dei chierici, giunti da poco presso di me, timore e tristezza mi turbarono assieme. Timore, giacché sta scritto: "l'opinione di chi comanda, sia giusta che ingiusta, dev'essere rispettata" ( San Gregorio Magno, Omeliae in Evang., II 26,6). Ero preoccupato, infatti, per coloro che hanno difficoltà ad attenersi alla Scrittura, perché essi, che a mala pena obbediscono a una prescrizione giusta, una volta trasgredita quella ingiusta - una opprimente, anzi intollerabile disposizione del loro pastore - non si sarebbero più sentiti vincolati dai comandamenti. Ero triste e in pena mentre pensavo quanto le membra avessero bisogno del loro capo, invalidato da così grande corpo. Cosa c'è infatti di più grave, cos'è più degno della compassione dell'intera Chiesa che tu, vescovo della sede più alta, al quale spetta il controllo di tutti, ti allontani anche di pochissimo dalla santa moderazione (1) ? E non di poco da questa hai deviato, nel momento in cui volevi costringere con una certa violenza i chierici ad abbandonare il matrimonio, mentre avresti dovuto solamente esortarli. Forse che a giudizio di tutti i maestri della fede non è è violenza questa che costringe ad obbedire a decisioni arbitrarie, prese contro la regola evangelica e l'ammaestramento dello Spirito Santo? Poiché sono a disposizione moltissimi esempi del Vecchio e del Nuovo Testamento a favore della moderazione, a te noti del resto, e prego la tua paternità di non avere a noia il fatto di averne qualcuno citato in queste pagine. 
Il Signore ha certamente istituito il matrimonio dei sacerdoti nella legge ebraica; e che in seguito l'abbia loro proibito non sta scritto da nessuna parte; anzi, dice la stessa cosa nel Vangelo: "Vi sono gli eunuchi che si sono fatti eunuchi loro stessi per il regno dei Cieli. Non tutti sono capaci di questo; chi può essere capace di queste cose, lo sia." (Mt. 19,11-12). Per la qual cosa anche l'Apostolo ( Paolo ) dice: "sulle vergini non do un comando del Signore, ma un consiglio." (ICor. 7,25). Egli era consapevole, in conformità alla parola succitata del Signore, che non tutti sarebbero stati all'altezza di quell'ideale e prevedeva che molti dei suoi zelatori, desiderosi di piacere non a Dio ma agli uomini con una falsa immagine di continenza, avrebbero commesso cose più gravi: avrebbero violato le mogli dei padri e non sarebbero rifuggiti dagli amplessi coi maschi o con le bestie.  Per evitare che il contagio di questa malattia diventasse una pestilenza devastatrice di tutta la Chiesa, (San Paolo) disse: "per evitare la dissolutezza ogni uomo abbia moglie." (ICor. 7,2) che ciò riguardi esclusivamente i laici è una menzogna degli ipocriti presenti in ogni grado del sacerdozio (2) i quali invece non esitano ad abusare delle mogli altrui e pure, lo diciamo piangendo, si degradano nelle suddette scelleratezze. Costoro certo non interpretarono rettamente la Scrittura, alla cui mammella, premuta troppo duramente, bevvero sangue al posto del latte. Infatti quel detto apostolico, "ognuno abbia moglie", non ammette eccezione, tranne quella di chi fa voto di continenza e di chi decide nel Signore di permanere in verginità. (...)
Affinché tu sappia con certezza che non deve essere assolutamente costretto chi non abbia fatto questo voto, ascolta quello che dice l'Apostolo a Timoteo: "bisogna che il Vescovo sia irreprensibile, marito d'una sola moglie" (I Tim. 3,2). E, affinché qualcuno non riferisse questa frase solo alla Chiesa (3), aggiunse: "Ma se qualcuno non sa governare la propria famiglia, come avrà cura della Chiesa di Dio?" ( I Tim. 3,2). Del resto, so che i decreti di papa Silvestro (4) ti hanno insegnato a sufficienza che la moglie dev'essere benedetta dalla Chiesa. Infine, l'estensore della legge canonica, concordando con i decreti della Sacra Scrittura, giustamente dice: "Il chierico sia casto o si leghi con certezza ad un solo matrimonio" ( canone apostolico VI). Da tutti questi testi inoppugnabilmente si evince che il vescovo e il diacono sono condannabili se si ripartiscono fra molte donne. Se invece scacciano l'unica legittima col pretesto della religione, senza differenza di grado, sono così condannati dalla legge canonica ( canone V):
"Nessuno, vescovo o prete, in alcun caso scacci la propria moglie col pretesto della fede; se dunque la si allontanerà, sia scomunicato, e se persevererà, sia deposto." 
(...) Qui il Vescovo Ulrico ricorda l'episodio del martire Pafmuzio il quale si alzò al Concilio di Nicea (325) difendendo l'uxorìa dai vescovi che volevano imporre il celibato. L'episodio è riportato da Cassiodoro nella Historia Ecclesiastica Tripartita nel capitolo XIV.
(...)
Vi sono invero dei sostenitori del celibato, la cui avventatezza mi fa ridere e la loro ignoranza piangere, che invocano l'autorità di San Gregorio ( Magno ) in loro favore.  Ignorano infatti che il pericoloso decreto contenente questa eresia promulgato da san Gregorio, fu da questi poi ritrattato con adeguato frutto di penitenza. Un giorno infatti, avendo comandato che gli fossero portati dei pesci dal suo vivaio, si vide consegnare più di seimila teste di bambini. Gemette allora, colpito da intimo pentimento e confessando che  la causa di tanta strage era stato il suo decreto sull'astinenza, e di esso, come dissi, fece adeguata penitenza, aggiungendo al detto apostolico "meglio sposarsi che ardere" (I Cor.7,9) una sua propria massima: "meglio sposarsi che offrire occasione di morte". (5) 
Cessi dunque la santità tua di obbligare quelli che dovrebbe solamente persuadere, affinché tu non venga trovato, Iddio non voglia, nemico sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, a causa di una legge inventata da te. Dice sant'Agostino a Donato:
"Temiamo solamente che la tua giustizia ritenga di dover punire non considerando la mitezza cristiana ma l'enormità delle colpe. Ti supplichiamo di non farlo nel nome di Cristo. Infatti i peccati si devono reprimere in modo che si salvino coloro che si sono pentiti di aver peccato."(6) (...)
Gerolamo dice: "ciò può riguardare anche quelle vergini che si vantano del pudore e che con volto impertinente ostentano la castità, avendo altro nell'animo; esse non conoscono la definizione data dall'Apostolo "santa di corpo e di spirito". Cosa giova, infatti, la continenza del corpo ad un animo corrotto, che non possiede le altre virtù descritte dal profeta?" (7)  (...) E invero, cosa può essere più stoltamente a favore degli uomini e più soggiacente alla maledizione divina sul fatto che alcuni vescovi e arcidiaconi, tanto sprofondati nella lussuria, da apprezzare gli adulteri, gli incesti...e, vergogna! i turpissimi amplessi con i maschi, dicano che gli ripugnano i casti matrimoni dei chierici e mossi non dal desiderio di vera giustizia ma dallo sdegno di quella falsa, li comandino come dei servi e li costringano ad astenersi, invece di pregarli come dei compagni e di esortarli a contenersi. Essi accompagnano infatti a tale turpedine questo consiglio: "è meglio associarsi a molte donne nel segreto, piuttosto che ad una sola dinnanzi a tutti." Ciò certamente non direbbero se provenissero o fossero dalla parte di Colui che disse: "Guai a voi, Farisei, che fate tutte queste cose per essere riguardati dagli uomini" (Mt 23, 5.13). Uomini alla rovescia, che vorrebbero farci preferire di arrossire peccatori innanzi a Colui al quale tutte le cose sono chiare e manifeste, piuttosto che essere uomini al cospetto degli uomini. Dunque, sebbene per la loro malvagità non meritino affatto di essere trattati secondo clemenza, noi tuttavia, memori della divina filantropia e spinti da intima carità, gli porgiamo la norma della legge che mai si disgiunge dalla benevolenza. Ci è stato fatto sapere da alcune persone che alcuni di questi hanno intenzione di dilaniare e flagellare il gregge del Signore senza ragione, a tal punto di arroganza sono giunti. Non esiterei a definirli come disse l'Apostolo a Timoteo: "negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, uomini che proporranno falsità per ipocrisia, cauterizzati dalla propria coscienza, e vieteranno di sposarsi." (I Tim. 4,1-3). 
Questa è, se si osserva con attenzione, la schiera dei diffusori di una mala pianta, di tutto questo partito della follia, che fa sì che dei chierici, costretti dal furore dei farisei ad abbandonare, Dio non lo voglia, le proprie mogli legittime, sono resi fornicatori e adulteri e complici turpissimi di altre perversità di questi stessi che, ciechi, guidano altri ciechi, e tramano questa eresia dentro la Chiesa di Dio. Dal momento che nessuno di quelli che ti conoscono, o apostolico signore, ignora che se avessi valutato con lucidità dell'abituale tuo discernimento quale grande pestilenza sarebbe derivata dalla tua decisione, mai avresti ceduto a suggerimenti tanto perversi, e ti chiediamo con lealtà di una dovuta sottomissione a operare l'allontanamento di un così grande scandalo dalla Chiesa di Dio e di estirpare la dottrina farisaica dall'Ovile di Dio, cosicché non soltanto nel fiore della verginità, ma anche nella congiunzione del matrimonio, ciascuno vedrà con purezza nostro Signore, il quale vive e regna con Dio Padre e lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

La lettera si conclude così, con una petizione che ovviamente non troverà riscontro nella corte papale. A causa della sua lunghezza, ho tolto alcune piccole parti di collegamento.
 A distanza di quasi mille anni, le parole del coraggioso vescovo Ulrico che difende il suo clero dai soprusi risuonano come un accorato appello a benvolere i nostri presbiteri sposati, a dare calore e affetto ai nostri sacerdoti, e a non guardarli come uomini di seconda mano, ma come autentici gioielli del diadema della Santa Chiesa. Che l'Occidente possa tornare, come già auspicava il vescovo Ulrico alle soglie dello Scisma, alla santa tradizione ortodossa dei nostri padri antichi. 

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NOTE

1) in latino Discretio, è corrispondente del greco Diakrisis e corrisponde alla moderazione, una delle qualità ideali della paternità spirituale e del discernimento delle anime che ti sono affidate. 

2) L'accusa diretta del Vescovo Ulrico presuppone che egli si riferisse a persone conosciute tanto dal Papa quanto dallo scrivente stesso, visto il modo diretto cui allude alla sodomia e alla zoofilia di "certuni" colpevoli di delitti ai quali il vescovo, lungo la lettera, continua a lanciare frecciatine.

3) era un metodo costante dei sostenitori del celibato interpretare in senso allegorico ( Moglie = Chiesa ) il detto paolino.

4) Isidoro di Siviglia, IX secolo, Atti del Sinodo di Silvestro, canone VII: "il prete sia irreprensibile sotto ogni punto di vista e sia marito di una sola donna, sposata con la benedizione della Chiesa".

5) Questo racconto non è presente nelle attuali biografie di san Gregorio Magno. Si presuppone che il Vescovo Ulrico abbia attinto da fonti adesso guastate, o può anche essere che abbia trovato una biografia alternativa utile alla causa che perora.

6) Agostino d'Ippona, Lettera a Donato, I,10

7) Gerolamo, Comm. in Ier. 1,II, cap. 32

Commenti

  1. ottimo articolo, ma ti sconsiglio di postarlo su fb, la religione ortodossa da quanto ho capito ha delicati equilibri che comprendo e rispetto ma che i tradizionalisti cattolici non condivideranno, quindi quando fai proselitismo tra di loro stai attento: alcune cose cattoliche per quanto traggono origine da una comune base sono ad alto tasso psichico...

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    1. Il punto è che non si può fare silenzio, almeno storicamente. Questa lettera è un oggetto storico, ancor prima di essere un documento "pro domo nostra".

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  2. Sì dici il vero, però su certi argomenti penso non si debba entrare a gamba tesa, certuni potrebbero interpretarlo come attacco polemico,
    almeno fino al punto che non abbiano accettato tutto il credo ortodosso...

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    1. Due frasi di un noto libro
      "sono venuto a portare la spada"
      "poichè non sei nè freddo, nè caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca"

      Giustino

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  4. però aggiungo che non accusare la chiesa ortodossa di statuofobia (i cattolici ce l'hanno i loro errori a ragione), ha una ragione d'essere nella loro interpretazione delle icone, anche affascinante...

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    1. Le statue a Roma c'erano già dal V secolo, non si può tacere storicamente, in qualsiasi via si guardi. E si badi bene che nella mia ricerca storica raramente lavoro per ottenere qualcosa di parte, così come sono critico col filioque, lo sono contro la statuofobia orientale, perché entrambe, storicamente, sono errate. Poi c'è statua e statua,certamente, ma non scordiamoci che la Madonna di Monserrat era parte dell'iconostasi di Aghia Sofia.

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