Il dibattito sull'onomadossia ( имяславие ) - Storia della Chiesa

La Chiesa Russa ha vissuto, in alcuni suoi momenti storici, una lotta fra partiti e forme spirituali molto diverse. Molto più divisa al suo interno rispetto ad altre chiese come quella Costantinopolitana, la Chiesa Russa manifestò fin dal principio una sua maggiore "europeità", con una sua cultura viva e florida, che ebbe le sue eresie dualistiche, o di stampo cataro, di particolare rilievo come i Chlysty una setta popolare che nacque nel XVII secolo, i cui membri  senza paura possiamo paragonare ai Flagellanti latini, poiché durante le loro riunioni si picchiavano per raggiungere uno stato di estasi. Questo tipo di diversità presuppone una maggiore apertura al dialogo anche interno e allo sviluppo di correnti di pensiero autonome. Il monachesimo in Russia svolse uno dei ruoli più attivi a livello spirituale e politico che in ogni altro paese, sia in Occidente che in Oriente. Già nella Rus' di Kiev ( secoli X-XIII ) i monasteri ebbero un ruolo chiave nella nascita morale del popolo, della civilizzazione del paese e nell'acculturazione della classe dominante. San Sergio di Radonez (1322-1392) portò in Russia la spiritualità del deserto, adattandola al suo paese, ed è indubbiamente uno dei grandi riformatori spirituali della Chiesa Russa, che diede grande impulso alla rinascita spirituale successiva al giogo mongolo e allo sviluppo della sinfonia dei poteri fra Cesare e Clero, con la benedizione del pio principe Demetrio Donskoj prima della battaglia di Kulikovo nel 1380.
Uno dei dibattiti più violenti della storia ecclesiastica russa avvenne fra Iosif di Volokolamsk e Nil Sorskij, entrambi santi, i quali avevano differenti visioni sulla via che il monachesimo russo doveva prendere. Iosif proponeva u na visione meno radicale del concetto di povertà monastica, proponendo una riforma limitata agli abusi, e permettendo ai monasteri russi di continuare a gestire l'economia fondiaria e le rendite, mentre la posizione di Nil era più forte e proponeva una sorta di povertà comunitaria. Il dibattito, fiorito già nel XV secolo, si protrasse per molti decenni anche dopo il Concilio moscovita del 1503 nel quale Iosif e Nil si fronteggiarono pubblicamente. Iosif di Volokolamsk aveva una visione più sociale del monachesimo ( simile per certi versi a quella che aveva avuto in Occidente per tutto il Medioevo) mentre Nil era un professore del Deserto. A livello formale, la società ecclesiastica prese Nil Sorskij a modello, ma l'opinione e la prassi Iosifiana si sono poi mantenute ben vive fino alla Rivoluzione comunista del 1917: sono ben noti a tutti i grandi sforzi del monachesimo russo nella civilizzazione dei popoli siberiani e l'uso che lo stato russo fece dei monasteri come vere e proprie scuole popolari. 
Questo brevissimo profilo storico sul monachesimo russo ci servirà adesso per affrontare una delle diatribe più profonde sorte nella storia recente della Chiesa Ortodossa Russa: la canonicità (validità) dell'onomadossia (culto del nome, in russo Имяславие), ossia della recita della preghiera del nome di Gesù.
Spesso noi occidentali affrontiamo l'esicasmo e la sua spiritualità con una certa leggerezza e con molto romanticismo, ignorando completamente la lunga lotta che questo modus orandi ha combattuto per ottenere pieno riconoscimento quale via legittima.  Negli anni 1911-1912 sul Monte Athos, nei monasteri russi, nacque una polemica in seguito alla pubblicazione del libro "Sulle Montagne del Caucaso" (1907) del monaco Ilarione nel quale due Maestri spirituali, dibattendo sulla preghiera, concludevano che << Nel Nome di Dio si presenta Dio stesso, con tutto il Suo essere e in tutte le sue proprietà.>>. Quest'ultimo concetto fece esplodere un dibattito teologico sulla natura dell'invocazione del nome di Dio, nella formula "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore" la quale ricorreva con insistenza in tutto il libro come primaziale fonte dell'ingresso in Dio. Sebbene questa affermazione potesse in una certa visione vissuta della preghiera risultare genuina e semplice, non così fu per una certa branchia più filosoficamente speculativa del clero athonita, la quale subito denunciò la onomadossia come eretica. 
La critica più aspra venne dal monaco Crisanfio, il quale scrisse un articolo contro questo libro,  dicendo "ritenere che l'espressione nominale, immateriale, "Gesù", personifichi l'essere vivente e Altissimo di Dio, è un'idea panteistica". Nacque un movimento contrario alla recita del Nome, chiamato onomoclasmo, il quale additava gli esicasti quali "onomalàtri", ossia idolatri del Nome, imputandoli di eresia. 
Il dibattito raggiunse i circoli intellettuali ecclesiastici nell'Impero Russo, e l'opinione pubblica non rimase indolente. Ci furono partiti, e il 3 luglio 1913 una nave imperiale russa arrivò al molo del monastero di San Pantaleimone con l'ordine di arrestare gli onomadossi con l'ordine di ricondurli in patria. 436 monaci e 185 novizi furono prelevati e condotti così nella madre terra, per essere poi "ri-educati". Questo episodio, che rovinò la presenza russa e la sua influenza sulla Santa Montagna, provocò una netta inferiorità di numeri, con 1/3 solamente di russi rimasti alle soglie della rivoluzione bolscevica. 
La prospettiva veterotestamentaria del possesso del nome ( conoscere il nome di una cosa significa dominarla, possederla nel suo intimo essere) può essere, da un punto di vista teologico, agevolmente trasposta sull'onomadossia e dare quindi adito a numerose interpretazioni. Il nome di Gesù (in ebraico Joshua) significa "Il Signore salva". Sarebbe quindi insito già nella natura nominale, l'intero progetto divino, e quindi la recita del Nome convergerebbe nella prospettiva ontologico-escatologica ( ma questa è una mia visione della recita del Nome, quindi non datele troppo peso. Nota del blogger). Più ufficialmente, l'onomadossia ha sempre trovato il suo culmine nella Hesykia, la Pace Interiore.  Nelle formulazioni teoriche degli onomadossi compare spesso il tema dell'esperienza diretta nella pratica dell'invocazione del Nome precede la teorizzazione e  precede la rivelazione intima del culto stesso di Dio, il quale si rende partecipe di quest'invocazione. Lo schimamonaco Antonij Bulatovic scrisse una Apologia a difesa dei suoi fratelli del Monte Athos sempre nel 1913, asserendo che "il Nome di Dio fa parte delle Energie Increate, è essa stessa una Energia Verbale di Dio" (1), e il presbitero Pavel Florenskij, il quale del libro di Bulatovic scrisse una benevola prefazione, intuì nell'onomatoclasmo e nell'onomadossia una sorta di continuazione del dibattito fra simbolisti e nominalisti del XIV secolo fra Barlaam e Palamas. Difatti, il principale difensore degli onomatoclasti, Troickij, scrisse: "I nomi non sono connessi veramente con gli oggetti... il nome è solo una formula convenzionale per indicare una proprietà" (2). Generalmente, i simbolisti e gli onomadossi vedevano invece nella recita della preghiera del Cuore non un uso materiale, un uso generico del nome proprio Gesù, ma un aspetto formale e sostanziale: il nominato è veramente l'Unto del Signore. Nel 1935 un'ulteriore critica all'onomadossia venne prodotta dal vescovo Serafino Sobol'ev nel suo libro La nuova teoria della Sofia.   Le autorità ecclesiastiche tanto a Mosca quanto a Costantinopoli furono inflessibili nel condannare gli onomadossi scorgendovi un pericolo di bestemmia contro il Cristo. Florenskij contribuì alla difesa della imjaslavie facendo un paragone fra le icone, realmente "parole scritte", e quindi soggiacenti al simbolo, e la recita del Nome, indicando quindi come parallele le due cose, pertanto anche la venerazione delle icone sarebbe eretica, nel caso che l'onomadossia lo fosse. Il teologo Bulgakov presto si pose anch'egli favorevole all'onomadossia. Sempre più teologi, dal primo Novecento ad oggi, sono favorevoli al fenomeno del culto del Nome e l'istituto di teologia ortodossa Saint Serge, a Parigi, ne diffonde pubblicamente i testi e ne raccomanda la pratica. 
Il dibattito è ancora aperto, ma credo che la Chiesa abbia già deciso, ufficiosamente, la sua ortodossia. 

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NOTE
1) Schimamonaco A. Bulatovic, Apologja Very vo Imija Bozhje i vo Imja Iisus. pag. 5
2) S. V. Troickij, Ob Imenach Bozhijch, i vo imijabozhnikach

Fonti
San Sergio e il suo tempo, autori vari, Ed.Qjqaion
The Raise of the Papacy and the East, St. Vladimir Seminary Press
Bellezza e Liturgia, Pavel Florenskij, ed. Mondadori

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