La teologia alla Corte Carolingia - Storia della Chiesa

PREMESSA DELLA RINASCENZA CAROLINGIA

Messa di Mezzanotte, ventiquattro dicembre dell'anno di Dio 800. Una processione di chierici in abiti candidi, il turiferario con i suoi riccioli di incenso, il coro che intona l'Inno Angelico mentre i sacerdoti suonano le campanelle e un distinto Signore territoriale che si è accaparrato il diritto a governare, con la forza e con l'astuzia, imponendosi a Corte, si presenta ai piedi dell'altare maggiore della Basilica di san Pietro, le cui porte sante sono ornate da due splendidi angeli in bronzo sbalzato, e viene incoronato imperatore dal Papa Leone III. Per l'Occidente nasce un nuovo Impero che vuole definirsi Romano; Carlo Magno propone un matrimonio all'Imperatrice Irene di Costantinopoli, ma i tragici eventi accaduti nella Seconda Roma non daranno futuro a quelle proposte. 



Ispirandosi - forse - agli Imperatori cristiani dei secoli passati, Carlo Magno vuole impreziosire la sua corte con la cultura spirituale, e chiama nella sua Corte tedesca di Aquisgrana i maggiori intellettuali del tempo, fra cui il celebre Alcuino di York ( giunto a corte ben prima dell'incoronazione, nel 782 ) e il meno conosciuto Giovanni Scoto Eriugena, del quale parleremo più avanti. Quella che viene definita Rinascenza Carolingia presenta innegabilmente dei pregevoli tratti, quali lo sviluppo considerevole dell'arte delle miniature, lo sviluppo della Letteratura e una rinascita monastica in territorio gallicano, accompagnati tuttavia da un forte accento iconoclasta delle riforme liturgiche propinate dai chierici più vicini all'Imperatore, il quale protesse i libri Tricapitolini ( i quali generarono lo Scisma d'Aquileia ) e li ripubblicò nonostante le condanne papali: nonostante Carlo si proclamasse Defensor Fidei, ciò non gli impedì di svolgere una politica ecclesiastica personale e anche eretica. 

Alcuino di York, assieme al suo talento di scrittore e di grammatico, aveva anche promulgato la necessità di romanizzare il rito gallicano e fu quello che tentò di fare; assieme a questo suo romano-centrismo, tuttavia, condusse anche un genio creativo non indifferente che permise la redazione di una raccolta di Messe votive e di un Salterio commentato con le istruzioni su come cantarlo in modo appropriato. A corte vi erano altri intellettuali che ronzavano attorno alla figura imperiale, prima e dopo Carlo Magno: ma una figura di spicco e della quale vale la pena davvero informarsi è Giovanni Scoto Eriugena, il quale si mise in mostra  a livello internazionale nelle grande disputa carolingia sulla predestinazione umana, avvenuta a Corte nell'851.

GIOVANNI SCOTO ERIUGENA

Giovanni Scoto - da non confondere con l'eterodosso Duns Scoto, posteriore a Giovanni di cinquecento anni  - come dice anche il suo cognome, veniva dalla Scotia, che in latino figurava tanto l'Irlanda quando la Scozia dei Pitti; ma Giovanni si firmava sempre come Eriugena ( nato neell'Eire, ossia dell'Irlanda ) preferendo  la gloriosa lingua celtica. Formatosi in un monastero benedettino in Irlanda, Giovanni, nella migliore tradizione monastica irlandese, emigrò dove serviva un monaco, e così approdò alla corte di Carlo il Calvo, del quale divenne Maggiordomo, ossia Maestro di Palazzo. Giovanni era un esperto della letteratura Agostiniana ma al contempo di patristica greca, specialmente il corpus di Dionigi Aeropagita, il quale fu tradotto in latino proprio da lui. Negli ultimi anni della sua vita, prima dell'880 d.C., Giovanni si impegnò nello scrivere una Omelia sul Prologo del Vangelo di Giovanni e un Commentario, purtroppo incompleto a causa della sua morte.

Sulla Predestinazione
 Nell'anno 851 i teologi Icmaro di Reims e Pardulo di Lione chiedono al mite Giovanni di impegnarsi quale retore nel dibattito sulla predestinazione, aizzato da Godescalco di Orbais, il quale attraverso la sua opera gemina praedestinatio divina, ossia "doppia predestinazione divina" proponeva una spiegazione di come, pur essendo unica, la divina volontà predestinasse i buoni e i cattivi ai loro rispettivi stati post-mortem, il paradiso e l'inferno, e fosse quindi duplice. Il pio Giovanni Scoto scrisse un trattato contro queste idee eterodosse, il De praedestinatione liber, e partendo proprio invece da Agostino, sviluppa la corretta visione della materia: in primo luogo, la doppia predestinazione mina il principio di non-contraddizione, poiché Dio è uno e semplice, non si può ammettere che abbia una doppiezza insita nella sua propria natura. In secondo luogo, se Dio avesse predestinato buoni e malvagi in quanto tali, non sussisterebbe il Libero Arbitrio che invece è fondamento della natura umana, e anche della sua scelta nell'Eden. Nonostante lo splendido metodo argomentativo e l'ampiezza dei richiami patristici, gli stessi committenti dell'opera rifiutarono poi il libro ritenendolo inadatto ad una pubblicazione di ampio respiro poiché non abbastanza semplice per essere compreso dalle masse. 

Il Periphyseon
Tuttavia, il canto del cigno di Giovanni Scoto è il corpus Periphyseon, ossia "( discorsi ) sulla Natura", in cinque volumi, nel quale Giovanni raduna tutta la sua spiritualità, influenzata notevolmente dal Dionigi Aeropagita. Il periphyseon è strutturato nella classica forma di dialogo fra Maestro e Allievo, i quali si rispondono circa il concetto di natura e in particolare sulla natura di Dio. 
Giovanni Scoto divide il genere natura in quattro aspetti:
Dio, natura creante e increata.
Verbo, natura creante e generata.
Natura propriamente detta, non creante e creata.
Dio, natura non creante e non creata. 
Questo modo di procedere viene chiamato Teologia Superlativa. 
Dopo queste speculazioni teologiche, Giovanni passa ad elencare l'inserirsi di Dio nell'Universo attraverso la Natura stessa e la Scrittura, la quale fa parte delle azioni divine. A seguire, un commento a Dionigi il quale fa parte del libro, e poi una argomentazione circa la mutua ricerca Dio per l'Uomo e l'Uomo per Dio, poiché essendoci nel Creato l'intervento del Creatore, e quindi in parte la natura del Creatore stesso, la ricerca umana del divino rientra nel ciclo universale quale un "sentimento naturale". La tensione dell'uomo verso il divino è implicito nella struttura del cosmo e immagine stessa di Dio. Il sistema di Giovanni Scoto, affascinante e complesso, è stato a lungo sospettato di eresia dai monaci incapaci di coglierne le vicinanze con il neoplatonismo bizantino: i profondi ragionamenti di Giovanni ci spiegano come dalla creazione universale si giunga al riavvicinamento dell'Uomo a Dio attraverso la gerarchia teofanica che Iddio stesso costituì nelle fibre del cosmo, per concludere nel ritorno all'unità divina in Cristo.

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FONTI

History of Orthodox Church: Greek Easst and Latin West del presbitero Andrew Louth, st. Vladimir press. 

Storia della Filosofia volume II, Umberto Eco, Roberto Limonta Editore 

Storia Medievale, Franco Cardini, Le Monnier 

Carlo Magno, Gianni Granzotto, France 1978 


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