Oriente e Occidente nei secoli centrali dell'Alto Medioevo hanno una dottrina sostanzialmente simile.
L'aldilà fra il VI e il XII secolo
Nell'arco di cinque secoli, la visione dell'aldilà non cambia. Isidoro di
Siviglia nel VII secolo affronta il tema solo relativamente al modo di
officiare i suffragi, così come riportato dal Sugli Uffici Ecclesiastici scritto da lui medesimo. Un autore che
vale la pena di menzionare è Giuliano di Toledo (642-690), il quale nel suo Prognosticon scrive un intero libro
escatologico circa il destino delle anime dopo la morte, rimanendo tuttavia su
posizione agostiniana. Novità di questo autore, Giuliano afferma che l'anima ha
una parvenza di corpo (similitudo
corporis) e che quindi può "provare" tormento o gioia, le quali
sono manifestazioni spirituali: in questo senso l'anima potrebbe perfino venir
torturata col fuoco materiale, e soffrire spiritualmente. E' dunque in Giuliano
di Toledo da ricercarsi la prima speculazione su un fuoco materiale all'inferno[1], il
quale tormenta i dannati. Giuliano insiste anche sull'ignis purgatorius sulla scia di Gregorio, rimanendo vago e ambiguo
sul fatto che possa essere un fuoco materiale: secondo lui esso purifica i
peccatori prima del Giudizio Universale, a differenza del fuoco infernale che è
eterno. Sempre nel VII secolo san Colombano d'Irlanda parla di un fuoco
purgatorio prima del Giudizio:
<< Considerate la miseria della
vita umana: dalla terra al fuoco, dal fuoco al Giudizio.[2]>>
In Gallia, sant'Eligio di Noyon (+659) in una omelia[3], dopo
aver parlato di peccati lievi e mortali, espone il classico discorso sul fuoco
purgatorio e sul destino dei giusti e degli ingiusti. Papa Gregorio III, a san Bonifacio il cristianizzatore dei
tedeschi, nell'VIII secolo, così scrive rispondendo al missionario il quale
domandava se era possibile pregare per i morti dei pagani o dei neo-convertiti:
<< Mi chiedi se si
possono fare offerte per i morti. Ebbene, la posizione della santa Chiesa è
questa: ciascuno può fare offerte per i morti qualora essi siano veri
cristiani, e il sacerdote può celebrare la loro memoria. Benché tutti siamo
soggetti al peccato, conviene che il sacerdote interceda solo per i morti
cristiani, poiché per gli empi, anche se sono stati cristiani, non è consentito
operare in tal modo.[4]>>
In Inghilterra, san Beda il Venerabile fra il 730 e il 735 scrive delle Omelie, fra le quali spicca la seguente,
che dettagliatamente espone il destino dell'anima dopo la morte.
<< Vi sono però taluni, che per
le loro buone opere sarebbero destinati alla sorte degli eletti, i quali, a
causa di loro cattive azioni che li macchiavano quando sono usciti dal corpo,
vengono avvolti dopo la morte dalle fiamme del fuoco purgatorio per essere
severamente puniti. Costoro, fino al giorno del Giudizio, vengono mondati dalla
macchia del loro spirito attraverso una lunga prova, oppure grazie alle
elemosine, alle preghiere, ai digiuni, alle lacrime, alle offerte eucaristiche
di amici fedeli, vengono liberati precocemente dalle pene e giungono dunque al
riposo dei beati.[5]>>
Nei secoli VII e VIII vi sono alcune visioni dell'Inferno e del fuoco
Purgatorio, fra le quali mi permetto di menzionare il monaco Fursey d'Irlanda
(567-648) e la beata Teodora di Costantinopoli, i quali fondamentalmente, in
misura di sogno, narrano di viaggi all'inferno e di ritorni sulla terra, non
aggiungendo nulla di teologicamente essenziale all'esperienza patristica. San
Fursey ( o Fursa ) da malato riceve una visita spirituale nella quale un angelo
lo difende da un demone che tenta di condurlo all'inferno; dopodiché l'angelo
lo conduce dapprima dai dannati, lo difende nuovamente da un'insidia demoniaca
e poi sempre più in alto fino a contemplare le beatitudini celesti e il trono
di Dio, il quale è irraggiungibile all'uomo che non è ancora degno del
paradiso; tornando indietro verso la Terra, Fursa vede il "fuoco
purgatorio" rivolto verso le quattro direzioni del mondo, ma non ne
soffre, giacché, come gli dice l'angelo: << il fuoco della passione non
ti toccò sulla terra da vivo, quindi non
subirai il fuoco purgatorio da morto.>> . Nella visione di san
Fursey, il purgatorio è dunque nella tradizione agostiniana e gregoriana, senza
alcun mutamento di genere o di essenza: esso brucia i peccati degli empi
affinché, dopo aver passato il vaglio, possano andare in Paradiso. I ripetuti
attacchi del diavolo che tenta di frenare la scalata di san Fursa sono nella
tradizione vicini al modo di sentire greco della Scala della Prova, lungo la
quale i demoni dell'aria tentano in ogni modo di impedire al defunto di
raggiungere la gloria eterna, e gli angeli difendono, come in un tribunale,
l'accusato da tutte le accuse fittizie dei nemici.
Il giudizio dell'anima, affresco del monastero ortodosso di Rila ( Bulgaria )
Rabano Mauro (+856), abate di Fulda e Arcivescovo di Magonza, intellettuale
imperiale di gran calibro e monaco benedettino di grande osservanza, scrive un Commento alle Lettere di Paolo nelle
quali si diletta nel parlare del Fuoco, e come Beda, egli prevede una maggiore
o minore durata del castigo in base alle commemorazioni che il defunto riceve.
Un altro intellettuale carolingio, Pascasio Radberto (+860), abate di Corbie,
basandosi sul battesimo nel fuoco del Vangelo di Matteo, costruisce una vera e
propria teologia del fuoco divino studiandone tutti i possibili aspetti, fino a
giungere al fuoco dell'amore di Dio (ignis
caritatis, o ignis divini amoris)
il quale brucia i peccati << per mezzo dello Spirito Santo >> prima
di ammetterci al Paradiso. Aimone di Halberstadt, morto nel 853, scrive un
trattato Sulla varietà dei Libri, nei quali si sforza di parlare dell'aldilà,
pescando a piene mani da Agostino e Gregorio senza mai nominarli, unendovi una
trattazione su Giuliano di Toledo. Attone di Vercelli (+981) nel suo Commento alle epistole di Paolo rimane
anch'egli su posizioni agostiniane, citando il presule d'Ippona a più riprese,
ma aggiungendovi dei dettagli interessanti. Egli è il primo a parlare
espressamente di peccati veniali ( che non ledono la salvezza ) e peccati
mortali secondo le categorie cui siamo soliti pensare nella modernità; in
secondo luogo ma non meno importante, il pensiero di Attone definisce come base
per il giudizio del fuoco purgatorio non tanto i costumi o i sentimenti del
defunto, quanto la dottrina (la
conoscenza della fede da lui professata) che ha manifestato in vita. Secondo
Onorio di Ratisbona, discepolo di Giovanni Eriugena, il mondo o, meglio, i
mondi, sono sia spirituali che fisici; nella sua opera Scala Coeli major egli parla di sette inferi, il secondo dei quali
è niente poco di meno che la Terra stessa. Onorio nel suo libro Elucidiarium, una sorta di catechismo
spirituale, dà inoltre una interessante nozione di perfezione e giustizia. Alla
domanda "chi sono gli eletti" che godranno della contemplazione di
Dio, egli risponde che sono quelli che non solo hanno compiuto la legge, ma
hanno fatto di più: monaci, martiri, vergini. I giusti, al contrario, sono
quelli che si sono attenuti strettamente al buoncostume e alle regole, ma che
non hanno avuto slancio, e sebbene meritano la vita beata, vivono in una
"casa" spirituale separata dagli eletti. Secondo Onorio vi è poi una
terza categoria di salvati, "gli imperfetti", ossia ad esempio gli
sposi pii i quali, pur non negandosi i piaceri dell'amore coniugale, hanno
vissuto una vita devota e sono pieni di gioia spirituale, contemplando il
Creatore in << abitacoli spirituali molto piacevoli >>. Fra gli
imperfetti vi sono anche quelli che, per alcune colpe, attendono d'essere
puniti dai demoni "tanto quanto gli angeli permettono". Secondo poi
strani calcoli simbolico-aritmetici, Onorio espone la durata dei castighi: un
giorno, due, nove, un anno e così via. I modi per liberare gli imperfetti dai
tormenti sono i medesimi: elemosine in loro nome, celebrazione di Messe in loro
onore, offerte votive, preghiere dei vivi. Sempre nell'Elucidiarium, sotto forma di dialogo, Onorio spiega cos'è il
"Purgatorio" o meglio, la "purgazione", la purificazione
mediante il fuoco di agostiniana memoria e, sovente, tramite la sofferenza
terrena - perdita di persone care, disastri in famiglia, povertà economica.
Un'altra visione dell'aldilà, questa volta nella prima parte del IX secolo,
proviene dal monastero di Reichnau, nel quale un monaco di nome Wetti ne fu
partecipe; fu trasposta per iscritto dall'Abate Heito[6] e il
poeta Walafridh Strabo, abate di san Gallo, ne produsse una copia in poesia.
Wetti era dunque malato, e il demonio visitò la sua cella assieme a
creature oscure, ma furono cacciate via da un angelo vestito di porpora e da un
gruppo di monaci luminosi "che parlavano latino". Passata questa
visione, il priore venne a trovare Wetti il quale narrò dell'accaduto e chiese
che gli fossero portati i Dialoghi di
san Gregorio; prima di leggerli si prostrò a terra con le braccia incrociate e
il priore recitò L'Officio dei Sette Salmi[7] su di
lui. Dopo aver letto qualche pagina dei Dialoghi,
Wetti tornò a riposarsi e apparve di nuovo l'angelo il quale gli disse d'aver
fatto bene a compiere i salmi e la lettura, e gli consigliò di pregare molto
col salmo 118 (119 dell'edizione in italiano corrente). L'Angelo poi lo
condusse presso montagne d'indicibile bellezza, "fatte come di marmo"
secondo il racconto, in un luogo ameno, circondate però da un grande fiume nel
quale una moltitudine di dannati sguazzavano dentro in preda al dolore. Luoghi
di tortura di ogni genere, donne empie fustigate sul loro sesso e immerse nel
fuoco, preti sacrileghi posti nelle peggiori sofferenze, e poi i una sorta di
castello di legno vi erano dei monaci posti là, a detta dell'angelo "per
essere purgati". Su un'altra montagna Wetti riconobbe un abate morto da
dieci anni, posto là, secondo le angeliche parole, anch'egli perché venisse
purificato. Poi Wetti vede Carlo Magno torturato nei genitali da animali i
quali lo straziano, e domandando all'Angelo perché, la risposta fu che, pur
essendo un re cristiano, si era dato agli amori illeciti, e doveva pagare le
sue colpe. Dopo un periodo di purgazione, disse l'angelo, anch'egli sarebbe
andato in Paradiso. In perfetta similitudine coi racconti di san Fursey, Wetti
vide poi il trono di Dio in una regione di archi d'oro e d'argento, attorno al
quale migliaia di santi sfolgoranti intercedevano per lui. Il Re dei Re, il
Cristo, era là e ascoltava le suppliche dei santi e dei martiri, anche se dal
trono provenne una voce: << non ha avuto una condotta esemplare, anche se
avrebbe dovuto.>> In un altro luogo una miriade di sante vergini pregava
per Wetti, e il Signore disse: << se avrà vita ammirevole, insegnerà la
retta dottrina e correggerà gli empi, allora lo accoglierò in Paradiso.>>
L'Angelo poi spiegò a Wetti i peccati dai quali doveva astenersi, parlò a lungo
della sodomia e delle malattie ad essa legate, e gli raccomandò infine di
praticare l'Opus Dei, il lavoro per
Dio. Poi Wetti si svegliò, dettò la sua visione e il racconto finisce.
Come ha sottolineato il prof. Jaques Le Goff in merito a questa visione[8], non
è difficile vedere un prototipo della Montagna dantesca in questo racconto; e
la visione di Carlo Magno il quale, pur da peccatore perché incestuoso (aveva
avuto relazioni con la sorella), sarà salvato dopo aver scontato la sua pena, è
tipica del sistema del futuro Purgatorio.
Burcardo di Wooms (+1025), celebre per il suo penitenziale nel quale
difende il clero sposato, in un suo Decreto
raccoglie in merito ai defunti alcuni scritti di Gregorio Magno e di Agostino,
parlando poi di << quattro generi di suffragio >> per i defunti,
che sono come abbiamo visto di eredità gregoriana. Nel 1025 il vescovo Gerardo
di Cambrai si scaglia contro degli eretici che non riconoscono il valore delle
offerte per i defunti, e al sinodo di Arras espone la validità di queste ultime
e l'esistenza del Purgatorio come "fuoco che assolve i peccati"[9]. Come si capisce bene nonostante la brevità
dell'esposto, i due vescovi del XI secolo non aggiungono nulla di nuovo o
sostanziale all'esperienza del primo Millennio nei riguardi della Scala della
Prova, anche se verranno usati sistematicamente come "Padri" del
Purgatorio cattolico-romano e i loro testi avranno diffusione nei secoli a
venire, in special modo dal XIII secolo in avanti.
Dal X secolo in poi, le visioni si fanno sempre più tremende e barocche,
con aggiunta sempre maggiore di particolari sui supplizi, le pene, i tormenti e
la quantità di peccati e peccatori; ad esempio nella visione dell'Imperatore
Carlo il Grosso, morto nel 888, oltre ai demoni volanti e ai peccatori immersi
nel fuoco fino al bacino, vi sono moltissime altre pene e personaggi politici a
lui avversi o amici, che condividono le pene in base ai peccati che hanno
commesso. In questa visione, a parte l'uso fiabesco di un gomitolo per ritrovare la via
dei vivi ( il prototipo è il filo di Ariana nella mitologia greca) si ha la
prima caratterizzazione dell'esperienza corporea: si soffre il caldo e il
freddo in base alle pene, e per la prima volta si palesa il ricatto dei morti
sui vivi.
[1]
Giuliano di Toledo, Prognosticon,
libro II, PL XCVI 475-98
[2]
Colombano Abate, Istructiones, IX, PL
246-47
[3]
Eligio di Noyon, PL LXXXVII, 618-19
[5]
Beda il Venerabile, PL XCIV, 30
[6]
Visio Guetini, in PL, CV 771-80
[7] L'officio
dei Sette Salmi (salmi 7,31, 37, 50 (51), 101, 129, 142) fu composto da
Cassiodoro nel VI secolo e divenne molto frequente nelle veglie, nei digiuni e
in genere come officio di pentimento in ambito monastico.
[8]
Jacques Le Goff, La nascita del
Purgatorio, Einaudi, pag. 133
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