Regole d'Etichetta nella Chiesa Ortodossa

Dal sito di St. Elizabeth Convent un articolo sull'etichetta nella Chiesa Ortodossa. L'articolo è stato accorciato rispetto l'originale


Nel Parlato

Durante una conversazione, dovremmo chiamare "padre" i nostri sacerdoti. I vescovi dovrebbero essere chiamati "vostra grazia" e, sebbene tutti i vescovi (inclusi i patriarchi) abbiano lo stesso carisma, alcuni fra loro hanno differenti doveri e responsabilità nei loro ruoli, e pertanto hanno ranghi differenti. "La vostra eminenza" è il titolo degli arcivescovi, dei metropoliti e degli arcivescovi autocefali, anche se l'Arcivescovo di Atene ha il diritto speciale ad esser chiamato "beatitudine". Il titolo di "vostra beatitudine" è proprio di tutti i patriarchi a eccezione del Patriarca Ecumenico, che ha il titolo di "Sua Santità" (è da osservare come, ormai, anche il patriarca di Mosca si fa chiamare "sua santità" n.d.t.). Quando si incontra un sacerdote o un vescovo, ci si inchina e si chiede la benedizione con il palmo della mano destra sovrapposto a quello della sinistra, dicendo "padre, benedici" (o "benedici, maestro / signore / eminenza" etc.). E' buon costume baciare la mano del benedicente. Al telefono si seguono le medesime regole del parlato. 

Le mogli dei chierici

Le mogli dei chierici sposati condividono, in una certa misura, la vita spirituale del marito, giacché sono una sola carne con lui. Non ne condivide certo l'ufficio pubblico o il ministero, ma è comunque degna di rispetto, anche perché spesso la presbitera (la moglie del sacerdote) è una figura attiva nella vita di parrocchia. La moglie del diacono si chiama diaconissa. Ecco come chiamare la moglie del sacerdote nelle lingue delle Chiese nazionali più comuni della Diaspora:

greco: presvitéra. 
russo: màtjushka
serbo: papàdeeya
romeno: prèoteasa. 

Nelle chiese slave (e nella romena) la moglie del diacono è chiamata comunque come la moglie del prete, senza distinzione di rango. 

Per Lettera o e-mail

Quando scriviamo ad un ecclesiastico, dopo l'inserimento del nome della persona cui stiamo scrivendo, è buoncostume scrivere "padre, benedici" (o il suo titolo) anche se è una lettera. Non è appropriato concludere uno scritto con la formula << il Signore ti benedica >> se la lettera è indirizzata ad un chierico, perché potrebbe venire vista come una forma di superbia; al contrario, da un sacerdote ci si aspetta che concluda sempre i suoi scritti con una formula di benedizione. 

Formalità

In un ambiente non famigliare - come ad esempio, la visita ad una parrocchia che non si conosce - è bene utilizzare un linguaggio più formale, ed ogni rango possiede il suo titolo. Il titolo formale di un diacono è "il reverendo padre diacono" se è sposato, il "reverendo padre ierodiacono" se è monaco. Parimenti se è arcidiacono o protodiacono, segue lo stesso schema. A causa dell'influenza cattolica, si è giunti a pensare che il diacono sia un quasi-prete, mentre ha un suo ruolo specifico nella gerarchia ecclesiastica, ed è uno del clero: non è un laico. Quando si parla ad un diacono, ci si rivolge a lui con "padre diacono" o "padre", come con un sacerdote.

Il sacerdote è chiamato "padre reverendo", se è sposato, se è monaco "reverendo ieromonaco" parlando di lui ad altri. Vi sono poi delle onorificenze delle quali alcuni preti sono insigniti, come ad esempio l'arcisacerdozio o l'igumenato, l'archimandritato e quando si parla di loro o ci si rivolge ad altri, occorre nominare il loro titolo completo. 

Nella Chiesa Ortodossa, si scrive dei vescovi come "il veramente reverendo vescovo". Metropoliti, Arcivescovi e Primati delle Chiese sono appellati come "i molto reverendi". Dal momento che quasi sempre un vescovo governa una sede, il nome monastico è seguito dal titolo della città che regge come vescovo: es. sua grazia il veramente reverendo vescovo Giovanni di Palermo. E' considerata una grande violazione del codice del diritto canonico e degli antichi costumi della Chiesa il chiamare un vescovo o un monaco col proprio nome di nascita, prima dei voti monastici.

Tutti i monaci, anche i non sacerdoti, meritano l'appellativo di "padre" ("madre" per le monache), ma fra di loro si chiamano "fratello" o "sorella". 

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