La Genesi: una esegesi breve

Questo piccolo saggio sulla lettura biblica della prima parte della Genesi non vuole essere un riferimento dogmatico certo, ma solamente una sorta di esegesi, dato che molti corrispondenti mi hanno domandato il senso della Genesi, ho voluto scrivere questo testo per dare una risposta più dettagliata a ciascuna delle domande, creando un documento che fosse globale, in modo che ognuno possa vedere l'insieme.

Il testo della Genesi principia, obiettivamente, con la Creazione, con l’ordinamento del cosmo. Dal caos primordiale si eleva una Voce, un Verbo, il quale, posto se stesso al centro, esclama: “sia luce” e luce fu. ( Gen. 1.2) La Terra viene plasmata, divisa dal cielo e il Verbo creatore genera i mari, le piante,  ordina il Tempo e poi continua, crea gli animali del mare, dell’aria e della terra. Infine, vide che tutto era cosa buona. Dio, nella Genesi, si manifesta come pluralità, mostrandosi come un Dio dalle molte ( ma non ancora definite ) Ipostasi, ossia aspetti di sé stesso. Difatti dice << facciamo l’Uomo a nostra immagine.>> ( Gen. 1.26) Il Dio ebraico, ancora non manifestatosi nella sua interezza perché non era la pienezza del tempo, era un Essere agli ebrei ignoto, invisibile, ma sicuramente unico. Negli altri libri vetero-testamentari, Dio infatti si presenta come “Io” mentre nella Genesi frequentemente preferisce la forma plurale noi. Il Dio che formerà Il Patto Ancestrale era ed è il Dio uno e trino, consustanziale e indivisa Trinità; l’uomo ebreo decaduto della Prima Alleanza non conosceva che un Dio nascosto e non completamente rivelato; con la Nuova ed Eterna Alleanza e l’inizio della Chiesa, si compie anche il ciclo dell’oblio e Dio si rivela in tutto sé stesso; e così come il velo tra Dio e l’Uomo si rompe, iniziando la Comunione perfetta della razza umana con il suo Creatore e Salvatore, così il velo del tempio, che significava il divario incolmabile tra il Signore Dio e il suo popolo adorante, si squarcia dinnanzi agli occhi dei sacerdoti giudei e degli scribi ( Matteo 27:51-66). La barriera invalicabile fra Dio e l’Uomo, la morte e il peccato, è stata annientata. 

Una lettura rapida e incompleta, o separata, non ci darebbe il segnale che forse l’interpretazione unicamente letterale è fallace. Difatti nel primo atto della Genesi abbiamo Dio che plasma una moltitudine di uomini e donne, dicendo “andate, moltiplicatevi, e dominate la terra” ( Genesi 1:27-28) ma subito dopo, nel secondo capitolo ( Genesi 2,18 e seguenti ) abbiamo un unico Uomo, Adamo, il quale è solo e non ha alcuna donna accanto a sé, ed è per questo che Dio estrae da lui la costola per plasmare attraverso di essa la compagna di Adamo. Apparentemente questo verrebbe relegato nel mito oppure preso alla lettera; Eppure, l’Umanità già era stata fatta di molti uomini e donne nel primo capitolo. Quindi, la dimensione scritturale qui muta verso un altro tipo di forma, quella spirituale. Da racconto della nascita fisica del mondo, si passa alla nascita della condizione meta-temporale umana. Il nostro Maestro e Salvatore, Gesù Cristo, infatti disse <<Non di solo pane vive l’Uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio >> ( Matteo, 4:4) e difatti Adamo e il suo Signore e Dio avevano un dialogo perfetto, e il Signore, che conosce e scruta i cuori, sapeva di cosa Adamo necessitasse. Seppe che era solo, e disse: << Non è bene che l’Uomo sia solo.>> e gli fece un aiuto che gli fosse simile. (Genesi 2, 18).L’Uomo, quindi, diventa il punto focale del Libro. La Scrittura ci mostra anche qual è il fine della creazione ( o esistenza ) della Donna, ossia di un essere complementare, che risponda alla necessità dell’Uomo di avere “un sostegno che gli fosse simile”. Un sostegno in cosa, se nel paradiso terrestre non vi era lavoro, tristezza e morte? Un aiuto nella salvaguardia del Creato, cui Dio aveva posto l’Uomo più in alto degli stessi Angeli,e per il mutuo soccorso spirituale. Nel mondo decaduto, la qualità della complementarietà non sarà più la grande forza della razza umana: la donna partorirà dolorosamente e l’uomo lavorerà la terra per il pane, e i due soffriranno della loro condizione in eterno. La Legge mosaica, data da Dio all’uomo decaduto, permetteva il ripudio e il divorzio ( Dt. 24, 1-4) ma Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, riportò la condizione del rapporto uomo-donna al suo scopo originario complementare, quando disse << Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne.>>( Marco 10:2-12) Il Matrimonio cristiano, nella pienezza della Verità, ci ricorda che le anime dei coniugi non vivranno separate neppure in Paradiso e dopo l’Apocalisse vivranno legate nei secoli. 

Il serpente, che personifica l’essenza del maligno, era “il più astuto degli animali selvatici” ( Genesi 3,1) e con questo particolare si intuisce fin dall’immediato quale sia la natura del Male: la malizia, l’inganno, ma non privo di una certa scaltrezza. Nella Genesi, nella formazione dell’Uomo si inserisce quindi il Male, i cui figli sono la Morte, il Peccato, e i vizi, e si insinua appunto come una serpe, viscida e subdola. Il serpente va da Eva, la Donna, e la tenta. Il Signore Dio aveva posto un limite all’Uomo, sua creatura, e aveva comandato di custodire il Giardino; eppure, di tutte le piante, gliene aveva proibita solamente una. Questo aspetto, l’Obbedienza, è di primaria importanza per comprendere l’Economia della Salvezza e anche il rapporto che vi è fra padre spirituale e allievo, fra sacerdote e fedeli, fra governo e cittadini. Dio aveva “ordinato”, ossia aveva creato ordine e armonia, e aveva posto come limite dell’Armonia questo comando, unico e solenne, a fondamento di questa stessa armonia cosmica. Il Frutto raffigura quindi il confine fra il lecito e l’illecito, fra l’ubbidienza seguita dalla saggezza generata dall’obbedienza stessa, oppure la disobbedienza e la relativa distruzione dell’armonia, a seguito della tracotanza  che porta ad una conoscenza senza sbocchi, ad una scienza fine a se stessa, come sarà poi la conseguenza dell’avere mangiato il frutto. Il diavolo stesso, secondo la consuetudine, divenne ribelle a Dio a seguito della sua volontà, che non rispecchiava il Disegno del Creatore. 


Una icona che raffigura i primi giorni della Genesi

Eva quindi scopre la disobbedienza e l’ebbrezza diabolica del tradimento ( Genesi 3,6) e consegna anche ad Adamo il frutto, affinché se ne cibi. Essi, tradita la fiducia di Dio, e distrutta così l’Armonia del creato, scoprono di essere nudi, ossia “impotenti” dinnanzi a Dio: la nudità simboleggia così la propria pochezza dinnanzi all’Onnipotente, pochezza che essi scoprono di avere dopo aver peccato contro il comando di Dio. Essi subiscono così il castigo divino, e vengono maledetti ( Genesi 3:14-24) e buttati fuori dal Paradiso Terrestre. La Morte entra così nel circolo della vita umana, che avrà fine. Cristo viene anche chiamato metaforicamente Albero della Vita, chiaramente legato alla Sua preziosa Croce vivificante, proprio perché Cristo è il Nuovo Albero da cui l’umanità può trarre la Salvezza: il frutto dell’Albero Nuovo, dell’Albero della Vita, del quale Dio proibì che Adamo ed Eva si cibassero nell'Eden, perché il tempo non era maturo. 
La cronaca della caduta umana prosegue: Caino, figlio di Adamo ed Eva, uccide Abele suo fratello per gelosia ( Genesi 4:1-16) e così nell’umanità si instaura il peccato di sangue. Cristo, per redimere l’umanità dal peccato, perisce anche lui attraverso l’uccisione, la quale è il peccato di sangue per eccellenza. Caino fugge nel paese di Nod ( Genesi 4,16): Cristo invece non fugge innanzi alla morte, ma domanda al Padre << Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice; tuttavia, non come io voglio, ma come vuoi tu >>( Matteo, 26:42) per poi consegnarsi ai suoi nemici. La codardia e la supina accettazione del castigo di Caino sono superate e distrutte dal sacrificio cristico, il quale tutto rinnova con la sua consegna volontaria e l’obbedienza suprema al Padre; mentre al primo venne detto “non uccidere” ed egli uccise, nel Cristo vi fu un “muori per l’Umanità” ed Egli, obbediente come l’ultimo dei servi, obbedì morendo.  

Le Genealogie (Genesi 4:17-5:32) sono la manifestazione letteraria del proseguire dell’Umanità decaduta e dell’andamento della Storia. Viene detto << A quel tempo si cominciò ad invocare il Nome del Signore.>> ( Genesi 4,26). L’Uomo prende coscienza di non dover dimenticare il suo Creatore, e si dà al culto di Dio. I secoli passano, l’Umanità si diffonde su tutta la Terra. 
L’Umanità dunque si corrompe definitivamente, e Dio vuole distruggerla; le figlie degli uomini avevano corrotto perfino gli Angeli, i quali si uniscono ad esse; Eppure, Dio che è Buono, nonostante si sia stancato dell’Umanità ( Genesi 6,6) trova un uomo retto, Noè, e gli concede di salvare l’umanità attraverso la propria famiglia. Noè costruisce un’arca, una grande nave, vi ripone dentro le provviste, le piante, gli animali della Terra e i propri congiunti, supera la tempesta divina e scampa così all’eccidio che ha sterminato il resto dell’umanità iniqua ( Genesi 7-8). Il Signore, accolto il sacrificio di Noé ( Genesi 8,20) dà avvio ad una seconda creazione, nella quale, di fatto, ripropone le stesse promesse della prima creazione, mentre nel capitolo Nono della Genesi il Signore fonda la sua Alleanza con Noé. Questo episodio vetero-testamentario non è di poca importanza: è anch'esso un simbolo del rapporto fra l'Uomo e Dio. L'uomo ogni volta che commette ingiustizia distrugge il rapporto sereno col Creatore, ma il sacrificio personale per la salvezza genera la salvezza stessa; è la spinta che l'Uomo dà alla propria azione a renderla vivificante, o distruttrice. Le alleanze fatte con Noé sono le medesime dell'alleanza ancestrale perché il Signore Dio non cambia mai la propria disposizione verso l'umanità, poiché è un Dio d'Amore e per noi si è fatto uccidere, abbassandosi al livello dell'Uomo; In un mondo iniquo è nel cuore del singolo la scelta di adempiere o meno al Patto teantropico, di seguire il disegno di Dio per Adamo, oppure seguire Adamo nella sua caduta. 

L’episodio della Torre di Babele è un altro racconto che ci presenta l’Umanità atta a voler superare i limiti divini, a vivere in tracotanza: Dio non si compiace dei progetti umani e li disperde, confondendo l’antica lingua e creando nuovi idiomi, affinché l’umanità non si comprenda più (Genesi 11,9). Nella Nuova ed Eterna Alleanza, il Signore, a sigillo della propria approvazione, dona agli Apostoli radunati il Santo Spirito nel giorno di Pentecoste, e permette loro di operare in tutte le lingue e di parlare in tutti gli idiomi conosciuti, cosa che meravigliò molto i pagani colà radunati ( Atti 2:1-11) Le lingue, le quali prima creavano divisione e attrito ed erano occasione di violenza ( le lingue significano anche differenza di popoli ) adesso invece sono tutte concentrate nel magnificare la Gloria di Dio, il Cristo morto e Risorto, glorificato e Asceso al Cielo. La differenza non è più un problema, bensì una semplice esistenza: non vi è più greco né giudeo, schiavo o libero, poiché tutti saranno concentrati in Dio e per Dio, e la maledizione di Babele cessa il suo effetto. 

Abramo rappresenta la fedeltà e la vita per Dio. Il Signore sceglie con Abramo una discendenza che gli sia fedele nei secoli, mentre prepara la venuta del Suo Figlio Unigenito, il Verbo Incarnato, sé stesso che viene sulla Terra per riportare tutte le genti all’adorazione dell’unica realtà sovratemporale, l’Indivisa Trinità. Ma poiché servivano le condizioni terrene per la diffusione del Messaggio ultimo, la pienezza dei tempi che si manifesterà nella Giudea romana, Dio prepara le condizioni per questo messaggio e lo fa serbandosi un popolo che gli sia devoto, in preparazione al rendere nuovamente tutta l’umanità conscia della Divina benevolenza. Per questo Abramo, e altri giusti dopo di lui, saranno chiamati Patriarchi, ossia Padri del Popolo, per questa loro missione temporale e mistica allo stesso tempo; ed è per questo che la Santa Chiesa chiamerà nuovamente Patriarchi i suoi vescovi più importanti. 

Commenti